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La storia
L’origine del nome potrebbe averla acquisita in Italia prima della trasmigrazione shqiptara, essendo Platachi (Plataci) già casale di Cerchiara di Calabria, quando sono giunte le colonie albanesi Etimologicamente, potrebbe derivare anche dalla parola greca Platania, “bosco di platani” (alberi autoctoni della famiglia degli aceri orientali), o forse dal termine latino Plateacium, risalente al classico Platea, che significa “agro non coltivato, luogo vuoto” per il fatto che il suo territorio era alquanto brullo e abbandonato.
La cultura “arbereshe” è ancora oggi fortemente caratterizzata da elementi specifici quali storia, folklore e tradizioni che rendono la presenza delle comunità albanesi un elemento di forte e grande arricchimento per le comunità locali nel suo complesso. Questo grande patrimonio culturale si rileva nei costumi, nell’arte, nella gastronomia, ancora oggi conservate gelosamente in alcuni centri. La parola “arbereshe” indica sia la lingua parlata che il nome degli albanesi d’Italia, mentre “Arberia” identifica l’area geografica degli insediamenti albanesi in Italia. A Plataci avrebbero trovato asilo anche gli abitanti della regione albanese di Gramsh, a sud – est di Tirana, da cui si è originato e diffuso il cognome Gramsci (o Gramisci) le cui famiglie, molte delle quali nobili, hanno dato vita nel tempo agli antenati del grande politologo italo-albanese Antonio; nonché gli Epiroti, dopo la morte di Scanderbeg ad Alessio (1468) e la presa di Kruja (1478) da parte dei Turchi, giunti al seguito di Giovanni, figlio dell’eroe albanese Scanderbeg, per sfuggire agli Ottomani e insediarsi sulle coste ioniche della Calabria accordate da Ferdinando d’Aragona per stabilirsi in comunità, o per fondarne altre.
Cibosofia e archeogastronomia
La cucina di Plataci conserva alcuni tratti tipici, che la accomuna agli altri paesi arbëreshë, e che emerge soprattutto in particolari occasioni. La base di questa cucina e naturalmente la pasta. Un posto di grande importanza occupano le cosiddette “SHTRIDHËLA” (strizzate), una sorta di spaghetti che si preparano assottigliando progressivamente, con abili movimenti delle mani, un impasto abbastanza sodo fatto di farina, acqua e sale. Il condimento d’elezione è il ragù di capretto o di agnello, ma si combinano molto bene anche con fagioli e ceci.
“SHTRIDHELAT”
Ingredienti:
– 250 gr di farina di grano duro
– 250 gr di farina di grano 00
– 2 uova
– un bicchiere di acqua tiepida
– un pizzico di sale
Preparazione:
Su di una spianatoia mescolare le farine di grano duro e 00 e il pizzico di sale, fare una fontana al centro e aggiungere le uova e l’acqua ed impastare fino ad ottenere un impasto omogeneo ed elastico, lasciar riposare coperto da un velo per circa mezz’ora. Dividere l’impasto in panetti di eguale misura. Ciascun panetto si buca al centro con il “kesistra” (raschiatoio) si infilano la mani e si comincia ad allargarlo in tondo comprimendo l’impasto, che assottigliandosi sempre di più assume la forma di una ruota che a mano a mano si allarga. Continuando a stringere tra le mani, essa si assottiglierà sempre di più. Raggiunto lo spessore voluto si taglia la matassa ai due estremi ricavandone tanti spaghetti di eguali misura da adagiare su una tovaglia ad asciugare.
IL SUGO
Ingredienti:
– 300 gr di fagioli
– 1 spicchio d’aglio
– 1 peperoncino
– 2 pomodorini
– un cucchiaio di olio evo
– sale q.b
Preparazione:
Cuocere i fagioli in una “pignata”, pentola di coccio, piena di acqua salata, In una larga padella soffriggere l’aglio e il peperoncino, aggiungere i pomodorini spezzettati, dopo 5 minuti i fagioli cotti con tre mestoli della propria acqua di cottura e aggiustare di sale. Cuocere la pasta in abbondante acqua salata, a cottura ultimata scolare ed aggiunge ai fagioli nella padella. Servire caldo.