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Servizi turistici e strutture
La storia
San Lorenzo Bellizzi, l’antico Castrum Bellitiae, già feudo dei baroni Bellizzi poi rimpiazzati nel 1534 dai Pignatelli, marchesi della vicina Cerchiara; è un piccolo scrigno di bellezze paesaggistiche. Nasce in mezzo a monti spaccati dal solco profondo del canyon Raganello, le gole superiori dividono la timpa di Cassano dalla timpa di San Lorenzo che continua nella roccia adamantina della Falconara e sotto di essa la Fagosa con i suoi alberi serpente.
Difficile non restare incantati difronte a tanta selvaggia bellezza che la natura, nei millenni, sia riuscita a plasmare. La conformazione del torrente è molto accidentata, ma di grande interesse naturalistico ed escursionistico. Il canyon Gole del Raganello, lungo circa 17 km, è costituito da due imponenti pareti rocciose: la Timpa di Cassano e la Timpa di San Lorenzo. dalla zona Pietraponte, si erge il Ponte omonimo, un singolare macigno incastonato tra le pareti, fino a raggiungere lo spettacolare Ponte del Diavolo di Civita, in un percorso di circa 8 km.
Il paese di San Lorenzo Bellizzi sembra che sia nato isolato tra le montagne, per soddisfare l’atavico bisogno dei suoi abitanti, di percepire con i sensi, qualcosa di sacro e supremo. Le meravigliose timpe di San Lorenzo dove studiosi danno per certo che vi nidificava l’aquila imperiale e della Falconara sono ricche di fauna come grifoni, falchi, volpi, lupi, cinghiali, caprioli e nella flora ricchezza della flora si contraddistingue lo zaffenano viola.
Una serie di ricerche archeologiche ha permesso di indagare un sito preistorico d’altura individuato in una delle cavità che caratterizzano il massiccio roccioso noto come Pietra Sant’Angelo. Formata da ripide pareti che da 1125 metri di altitudine dominano la valle del Raganello, la rupe è ricca di grotte e caverne molte delle quali già note dagli anni ’30 del Novecento. Uno dei punti di riferimento per viaggiatori in cerca di una Calabria davvero autentica e, per certi versi, inesplorata.
Cibosofia e archeogastronomia
IL RITO DEL MAIALE
“E’ l’alba, l’intera famiglia si sveglia e ai “compari” viene servito un forte caffè con un goccio d’anice. Il padrone di casa s’ avvicina dove è rinchiuso l’animale e la padrona che lo ha amorevolmente cresciuto si avvicina a chiamarlo: solo di lei si fida il porco. Una volta fuori dall’uscio il padrone lentamente gli alza la gamba, accarezzandolo il maiale viene legato ad un piede mentre la padrona di casa fa rumoreggiare qualche ghianda in un secchio di metallo, il maiale senta l’odore e segua il rumore. I bambini lo beffeggiano e nervosamente lo picchiano con le manine, ridendo sguaiatamente, inseguendoli e spingendolo a camminare più lesto, quasi a voler esorcizzare la paura della morte che il maiale si porta addosso. Tutto è pronto, con una rapida occhiata nerbute braccia di giovani adulti afferrano l’animale, lo legano serrandogli il muso con uno spago ad evitare morsi e lo sbattono sul tavolaccio. Il bambino piccolo lesto afferra la coda e la tiene stretta, come una sorta d’iniziazione, mentre i più robusti attanagliano i piedi al maiale già immobilizzato. L’addetto all’uccisione augurando ogni sorte di buona salute alla famiglia affonda lo stiletto nelle carni del maiale e questi con un ultimo grugnito soffocato dall’abbraccio stretto degli uomini e dal laccio intorno al muso reclina il capo facendo fuoriuscire velocemente il sangue prontamente raccolto dalla donna più giovane e dalla donna più anziana che rimestando in maestria con il braccio velocemente fanno in modo che non si formino grumi. L’importante è che le due donne non siano mestruate, altrimenti la carne si rovinerà, tramanda la credenza popolare. Un buon bicchiere di vino viene fatto circolare tra gli aiutanti per festeggiare l’uccisione del maiale e ritemprarsi un attimo dalla fatica e dalle tensioni che ha richiesto”.
“FILATIDDR”
Per l’impasto farina di grano duro e acqua, calcolando la porzione che riesce a prendere con le mani, una ogni commensale. L’impasto deve essere molto molto duro e solido altrimenti appiccica e non si riesce a stendere. Una volta lavorato e lasciato riposare si devono allungare dei fili di pasta dà qui deriva la parola filatiddr, il più sottile possibile tipo spaghetti.
Per il sugo la versione più antica prevedeva un soffritto di cipolla e aglio, pezzi di testina di maiale e cotiche e un po’di salsa di pomodoro ma il tutto doveva risultare più o meno in brodo e di colore chiaro. Oggi invece si preferisce fare un sugo sempre di carne di maiale, testa, cotiche, costine però aggiungendo molta salsa di pomodoro e condendo la pasta fresca con questo sugo e una spolverata di ricotta salata.